sabato 23 ottobre 2010

Giulia e Antonio in vetrina

- Rispiegami un po’ questa storia della fine del mondo…
Giulia giocherella con una ciocca di capelli: la arrotola attorno al dito sottile, smaltato di bianco perla. L’aria profuma di alghe e mortaretti. Antonio fissa distratto il movimento che trasporta i verdi pezzetti viscidi sulle onde, lento e costante. Il colore delle alghe Antonio lo può soltanto intuire, perché il cielo è buio; la linea dell’orizzonte si confonde con la fine dell’acqua. La Cala di Palermo è deserta.
- Nell’Ottocento si comincia a pensare che nel Medioevo, proprio allo scoccare dell’anno Mille, la gente avesse paura che tutto sarebbe 
finito. Antonio era sovrappensiero. <br /> tag
- Che ho detto?
- Che hai detto che?
Giulia sbuffa: - Non mi stavi a sentire, che ho detto?!
- Nell’Ottocento la gente aveva paura che tutto sarebbe finito…
Giulia lo interrompe, stizzita: <br /> tag- No, Antonio! Non hai capito niente: nell’Ottocento pensavano che la gente del Medioevo avesse paura che il mondo sarebbe finito! Allo scoccare dell’anno Mille! Nel Medioevo la gente neppure lo sapeva a che anno si era arrivati!
Antonio fissa il verde intuito dell’acqua. Dei piccoli pesci scintillano sotto la superficie, per un attimo, illuminati da un razzo, e spariscono subito dopo.
Giulia aspetta, in silenzio, un cenno che le faccia capire che Antonio ha capito. Antonio fissa il verde e non parla.
- Non capisco, mi fai una domanda e poi non stai a sentire la risposta?
- Ho sentito, ho sentito – dice Antonio – Nel Medioevo la gente pensava di essere spacciata.
- Secondo i romantici.
- Sì, secondo i… Secondo chi?
Giulia guarda Antonio e ride. – Secondo i romantici! Secondo gli storici dell’Ottocento!
- Come ti pare, dice Antonio.
Giulia lascia andare la ciocca di capelli arrotolata attorno al dito sottile e allunga le mani verso il viso di Antonio. Stiracchia la schiena e avvicina le labbra; vorrebbe baciarlo. Antonio non se ne accorge, getta le braccia all’indietro e la guarda, con la testa piegata di lato. È carina, pensa. Ma con le labbra protese così le vengono due minuscole pieghe ai lati della bocca. E ha anche un accenno di baffo. – Mpciù!, dice Antonio.
Stanno seduti sul bordo della piattaforma, coi piedi che penzolano in fuori, sull’acqua. Le barche ormeggiate li nascondono alla vista degli amici di Giulia, seduti sulle panchine del Foro Italico dalle piastrelle sgargianti, e qualcuna scheggiata.
- Ma perché non ti capisco quando parli?
- Che vuoi dire?
- Niente.
Giulia sta zitta e si china col busto in avanti, sporgendo il mento oltre le ginocchia: ma questa posizione le dà la nausea e sente il Cenone risalirle acido in gola.
- Ho sete. Voglio da bere.
Antonio fraintende e le porge la birra ormai sgasata. Giulia fa cenno di no con la testa. Antonio pensa che è strana, proprio strana. Cosa vuole manco lei lo sa.
- Basta bere. Mi viene da vomitare.
Antonio di tutto ha voglia, meno che di tenerle la fronte mentre pezzetti di spada grigliato e ananas flambée rimbalzano intorno e sulle scarpe sue e di Giulia.
- Aspetta… - Giulia respira a fondo – Aspetta… È passato.
- Grazie, Signore.
Antonio ha rimpianto l’aver accettato l’invito a casa dei genitori di Giulia dal momento in cui si sono richiuse alle sue spalle le porte dell’ascensore.
La madre di Giulia ha fatto di tutto per fingere di metterlo a suo agio. Ma Antonio lo sa che gli entusiasmi della signora Geraci si sono spenti non appena lui ha allungato la mano verso la stretta calorosa del Signor-Capofamiglia. Era sporca di grasso. Pochissimo, appena sotto l’attaccatura delle unghie; ma bastava a inquadrare Antonio e il suo lavoro di merda.
- Vedrai, ti piaceranno, aveva promesso Giulia al telefono. E lui si era lasciato convincere. Poi Giulia che apre la porta di casa, Giulia fasciata in un vestitino brillante mozzafiato. Giulia e le sue perle-di-fiume del cazzo. Il parquet, cazzo.
E la falsità, Cristo santo!, la faccia ipocrita con la quale la Signora-Madre Geraci aveva accolto la notizia che Antonio aveva mollato ragioneria alla seconda volta del secondo anno. Come se Giulia non gliel’avesse spiattellato già all’indomani del loro primo incontro, solo per il gusto di farla incazzare di brutto.
- … e oggi, pensa, se fosse vera la storia di quei dementi dei romantici, sarebbe un millennio esatto dalla prima fine del mondo!
Antonio ritira le braccia e volta le mani, per guardarsi i palmi. Sono sporchi di sabbia e impolverati. Se li pulisce sopra i pantaloni ma la sabbia s’infila dentro alle righe del velluto blu oltremare e la polvere gli lascia su entrambe le cosce striature di chiaro.
- Cristo!
- Non imprecare! …e quindi oggi saremmo spacciati anche noi, pensa! Magari qualche cretino di stregone o di astrologo ha sbagliato i calcoli di mille anni esatti e oggi davvero siamo tutti nella merda, altro che Millennium Bug, e cominciano a piovere dal cielo meteoriti e le astronavi dei Visitors sbarcano sulla terra e…
Giulia è sbronza e quando è sbronza è una mitraglietta, valla a fermare. Antonio si volta a guardare gli amici di Giulia: si allontanano in gruppo, qualcuno rimasto indietro tenta ancora di chiamarli, agitando le braccia, ma loro sono troppo lontani.
- Gli altri vanno via, Giulia…
- Falli morire ammazzati! Ah ah!
Un petardo fischia nell’aria, poi un altro, poi altri. La mezzanotte è vicina. La madre di Giulia a quest’ora è stonata di Martini e si accanisce al tavolo del black jack. Il padre magari rivolge un pensiero alla figlia: ma gli brucia solo il pensiero che Giulia non sia lì con loro. Non ha neanche alzato la voce quando lei li ha piantati lì prima del panettone farcito per raggiungere gli altri alle Cicale, dove il dj già scaldava i vinili. Solo ad Antonio sembrava così profondamente arrogante quell’aria di sfida con la quale Giulia aveva detto: - Io esco, stringendo il cappotto di cachemire sotto al braccio. Ai genitori di Giulia gliene fregava solo di rappresentanza.
- Senti, facciamo due passi? – domanda Antonio.
- Due passi dove? Tra poco è la fine del mondo, voglio morire alle Cicale!
Giulia si alza, si rimette il sandalo vertiginoso; la fa camminare così male, sembra una spogliarellista zoppa, pensa Antonio. La segue, gli seccherebbe di doverla recuperare in mezzo all’acqua.
Attraversando la strada, Giulia e Antonio si riflettono sulla superficie di una vetrina: il loro profilo si confonde tra le palle di vetro spruzzate di neve finta, di diverse misure. Antonio si sofferma ad analizzare l’immagine, ma è sparita: Giulia passa oltre. Rimane Antonio da solo a guardarsi negli occhi.
Restare soli – pensa – non è poi la fine del mondo.

4 commenti:

  1. Si alza il sipario e chi ci trovo dietro??--dietro che!?!una volta che è su..vabè-
    una coscienza in splendida forma scrivente.
    è e sarà un piacere leggerti.
    un abbraccio da una eccezionale (in quanto decisamente fa eccezione) Berlino soleggiata.
    ;)
    stefania

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  2. Ma sei dolcissima, tesoro!
    Che piacere averti ritrovata qui! Spero di farti sentire nostalgia di casa, qualche volta, coi miei piccoli post, specie con quelli palermitani!
    :)
    E spero di smuovere quel muflone di amorino mio e di portartelo lì, per vedere te e la splendida Berlino! :D
    Spero che tutto ti vada alla grande. Baci.

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  3. bene siamo in due a postare un commento!!!
    in una gelida serata nissena ci ritroviamo a osservare lo sfondo della pagina che adesso abbiamo capito essere una raffica di lavatrici:-)))
    ma sei ispirata da fatti o personaggi realmente esistiti?
    perchè sono affiorati flash durante la lettura....
    anyway, soprattutto un'ultima, ma non meno importante domanda: come cacchio si elimina la finestrella con la musichetta incessantemente trita cervello?????
    le tue PJ e Timballo

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  4. Siete adorabili!
    Flash di vita vera ci sono in tutti i miei racconti, per una semplice ragione: è COMODO! Se la mia vita è come un romanzo o più modestamente una barzelletta, tanto vale approfittarne e utilizzarla per ridere e far ridere, no?
    :)
    La musichetta... C'è un piccolo pulsante tondo in alto a sinistra, all'interno del riquadro del giochino: basta premerlo e andrà in silenzioso!
    Smack.

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